Alla scoperta dell’Italia minore — Terza parte - Tirreno

Gianluigi Cogo
Gigi Cogo travel blog
20 min readMay 20, 2023

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Foto di Gigicogo

[Link alla seconda parte]

Abbandonati i paesaggi bucolici che circondano il Pollino (tutta la zona del bacino idrografico del Sinni e dei vari laghi artificiali sviluppatasi attorno ad esso è davvero bellissima) e dopo un ultimo pranzo a base di specialità lucane nei pressi di Lauria, scendiamo finalmente verso il tirreno e verso Sapri per far visita a un caro amico che ci omaggia dei suoi strepitosi limoni coltivati sui terrazzamenti delle colline cilentine, dove conduce un appezzamento rigoglioso e generoso di frutta mediterranea.

E’ la seconda volta che capitiamo qui nel Cilento, ma la prima volta nella zona più a sud, quella a ridosso della Basilicata per intendersi.

La prima sensazione è che il livello generale sia molto più basso di quello constatato nelle più famose riviere sorrentina e amalfitana. Un passo indietro come ricettività, accoglienza, classe e livello dei servizi.

Certo, c’è una natura rigogliosa, affascinante e ancora in larga parte incontaminata, ma sembra un po’ tutto sciatto. Il nostro Hotel a Marina di Camerota è ancora in fase di pre-apertura (e mica ce lo hanno detto in fase di prenotazione) e denota scarsità di servizi non irrilevante. Per fortuna si trova in una posizione davvero fantastica (motivo per cui lo abbiamo scelto) direttamente sopra la bellissima spiaggia Calanca.

Foto di Gigicogo

Passiamo tre giorni da queste parti, un po’ riposando sulla battigia e un po’ facendo trekking sulle scogliere o spostandoci a Palinuro per godere della vivacità serale.

Diciamo pure che non essendo alta stagione non ci immaginavamo chissà quale movida ma un confronto con la Puglia, appena lasciata alle spalle, va fatto. Qui sembrano ancora in letargo. E ho detto tutto!

Anche Palinuro non sfugge all’apatia eppure siamo a ridosso del Primo Maggio, festa nazionale e tipico ponte per le gite fuori porta! E invece niente, sembra tutto spento, in letargo.

Meglio così, ci godiamo la natura e questi borghi costieri in santa pace.
Divertente l’incontro lungo il sentiero che porta dalla spiaggia Calanca a quella di Capogrosso,

quando ci imbattiamo in una celebrazione civile di matrimonio sulla battigia con tanto di drone che riprende l’intera cerimonia.

Foto di Gigicogo

Il 2 Maggio ci spostiamo verso la provincia di Napoli sotto un diluvio. Paradossalmente tutto ciò si rivelerà una vera e propria fortuna perchè entrambe le perturbazioni primaverili subite durante questa vacanza, saranno attenuate dalla costrizione dello spostamento e non influiranno più di tanto sul godimento generale nei luoghi che visiteremo in modalità stanziale.

Dopo aver pranzato presso uno dei tanti caseifici che costellano la statale 18 in zona Battipaglia, arriviamo a destinazione in quel di Bacoli, o per essere più precisi nella frazione di Miseno.

Il posto scelto è davvero spettacolare. Un hotel che domina tutta la vasta zona dei Campi Flegrei da una posizione davvero invidiabile, quasi in cima al Capo Miseno. E questa sarà la nostra base per i tre giorni che trascorreremo qui fra siti storici, naturalistici e culturali con l’unica incognita della festa scudetto del Napoli che, già dall’indomani, potrebbe far diventare questi luoghi una specie di Carnevale di Rio!

Foto di Gigicogo

Partiamo dunque con il lungo elenco delle cose viste, con una premessa riguardo la gestione delle innumerevoli zone archeologiche presenti.

L’Ente Parco Archeologico dei campi Flegrei gestisce ben 25 siti fra musei, anfiteatri e teatri, tombe, necropoli, apogei, ecc. Il sito web di appoggio è fatto bene e i prezzi di accesso sono ragionevoli. Ma attenzione, non è tutto oro quello che luccica. Molti dei siti archeologici in gestione sono abbandonati o chiusi per mancanza di personale. Molti orari non coincidono con le reali aperture. Alcuni siti sono sono in ristrutturazione. La segnaletica è quasi inesistente. Il personale, non tutto, spesso è svogliato e approssimativo.

Detto ciò, c’è davvero tantissimo da vedere e noi una piccola parte l’abbiamo vista con sommo gaudio e tanti chilometri fatti a piedi. In perfetto ordine cronologico, di seguito, alcune descrizioni e considerazioni:

  • Sacello degli Augustali. Situato ai piedi della salita al nostro hotel, risulta parzialmente sommerso a causa del bradisismo. Il sito è chiuso e non visitabile, ma comodamente fotografabile dalla strada.
    Dedicato al culto dell’imperatore Augusto, venne realizzato in muratura con rivestimenti in stucco; la struttura conservò questa decorazione anche in occasione dell’arricchimento del Sacello con le statue degli imperatori Vespasiano e Tito di epoca flavia.
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  • Teatro romano. Praticamente inesistente e non visitabile. Situato lungo la strada che conduce a Capo Miseno è inacessibile non solo a causa del bradisismo ma perchè, nei fatti, parte del monumento si trova al di sotto del livello del mare e buona parte del livello superiore è inglobata in costruzione moderne. Non lo abbiamo nemmeno fotografato. Si vedeva solo un ammasso di pietre.
  • Piscina Mirabile (o Mirabilis). Una delle attrazioni più interessanti della zona. Purtroppo affidata in subappalto a un associazione di volontari che riesce a renderla visitabile solo due giorni alla settimana.
    Il monumento rappresenta il punto di arrivo, a Miseno, dell’acquedotto voluto da Augusto, realizzato prelevando le acque dalle sorgenti in località Acquaro di Serino nella conca dell’alta valle del Sabato, ove doveva servire alla necessità della Classis Misenensis. L’imponenza della struttura — lunga m 70, larga 25,5 e alta m 15 — e la suggestione degli ambienti interni, ancora in perfetto stato di conservazione ne fanno uno dei monumenti più famosi e visitati sin dal ‘700. Reso famoso ai più per alcune scene ivi girate nel film di Sorrentino ‘E’ stata la mano di Dio’.
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  • Cento Camerelle. Minuscolo sito archeologico, rigorosamente chiuso alle visite e difficilmente fotografabile da fuori. Erano definite dalla tradizione letteraria anche come Prigioni di Nerone, sia per l’intricato sistema di cunicoli del monumento che per l’intento di Nerone che qui, come racconta Tacito, accolse la madre prima di ordinarne l’assassinio. Si tratta in realtà di un sistema di cisterne parzialmente esplorate, nate per soddisfare un enorme fabbisogno idrico di quella che doveva essere la villa sovrastante, di sicuro dotata di giochi d’acqua, ninfei e peschiere.
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  • Castello aragonese con museo archeologico. Diviso in quattro sezioni (Cuma, Pozzuoli, Liternum e Rione terra) contiene molte copie ed alcuni reperti originali. Il percorso è ben strutturato e accompagnato da descrizioni complete e molto interessanti.
    Oltre al museo, merita una visita anche il Castello stesso, edificato tra il 1490 e il 1493 dagli Aragonesi e ingrandito tra ‘500 e ‘700 durante il viceregno spagnolo. Dalle sue terrazze si domina il golfo di Pozzuoli e si possono ammirare le isole del Golfo di Napoli.
    Oltre alle sale dedicate ai resti archeologici rivenuti nell’area flegrea, si possono visitare delle esposizioni di arte moderna e di fotografia. Sempre dal castello, con una vidta bella acuta e un po’ di fantasia, si possono vedere i resti sommersi dell’antica Baia.
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  • Tempio di Venere. Scendendo dal castello verso il porto di Baia, si incontra subito questa enorme struttura in mattoni, dal diametro di oltre 25 metri, doveva essere la sala più importante di un più ampio complesso di cui si sono persi gran parte dei vani. Il committente sembra essere l’imperatore Adriano, considerate soprattutto le numerose similitudini con alcuni edifici da lui voluti nella sua villa di Tivoli, alle porte di Roma. Anche gli edifici immediatamente a monte, oltre la strada, all’interno del Parco delle Terme di Baia, sembra siano da collegare allo stesso complesso, anche se l’accesso principale doveva trovarsi presumibilmente verso il piccolo lago posto al centro di Baia.
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  • Tempio di Diana. Prima di salire verso l’entrata del Parco archeologico, sempre in prossimità del porto di Baia, si trova questo enorme manufatto considerato la più grande delle cupole baiane. Esso prende il nome dai fregi marmorei raffiguranti scene con animali selvatici che i primi eruditi del settecento riconducevano al culto della dea cacciatrice. Ci troviamo di fronte ad un edificio termale già noto nel medioevo come bagno dei Gibborosi a causa della sua caratteristica gobba.
    Alla fine dell’Ottocento, a causa della realizzazione di una delle più antiche linee metropolitane d’Italia, la Ferrovia Cumana, si è deciso di separare questo monumento dal resto delle antiche strutture termali del Parco delle Terme di Baia, rendendolo oggi lo sfondo di un palco naturale per rappresentazioni teatrali all’aperto.
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  • Parco archeologico delle Terme di Baia. Si tratta di uno dei due complessi più vasti di tutta l’area flegrea (l’altro è sicuramente quello di Cuma), e dunque la visita va affrontata con pazienza e possibilmente con il supporto di qualche guida on line o in app.

Gli scavi archeologici, iniziati poco meno di un secolo fa, si sono concentrati nello spazio compreso tre le tre grandi cupole che, da sempre, erano rimaste in vista, attorniate per lungo tempo solo da amene campagne coltivate che contornavano il piccolo borgo di pescatori in riva al mare. I templi di Diana, Venere e Mercurio in realtà templi non erano mai stati ma la loro imponenza e il loro aspetto apparentemente isolato aveva fatto pensare a edifici sacri, collegati a queste divinità solo per piccoli, o inesistenti, indizi trovati nelle decorazioni delle loro pareti. In realtà qualcosa di notevole c’era, in una in particolare di queste sale, quella di “Mercurio”: siamo di fronte infatti, a quanto oggi si conosce, del più antico esempio di copertura emisferica di ampie dimensioni realizzato in cementizio. Gli studiosi hanno infatti datato questa sala al tempo di Augusto e vedono in essa quello spirito di sperimentazione che proprio a Baia si sviluppò grazie ad un materiale qui facilmente reperibile, la pozzolana. Ma al di là di questo aspetto, in tutte e tre le sale ci troviamo di fronte ai più importanti ambienti di tre diversi stabilimenti termali costruiti, a distanza di un secolo l’uno dall’altro, per sfruttare sempre più intensamente le risorse idrominerali del sottosuolo: oltre a grandi vasche per immersioni, numerosi sono i condotti scavati direttamente nel terreno per captare le risalita di vapori bollenti per riscaldare le saune. La ricerca di queste fonti naturali di calore ci spiega in parte la disposizione disordinata di questi edifici, che tuttavia deriva anche da un altro fattore: prima di questi grandi impianti lo spazio era già stato occupato da grandi ville, costruite una a fianco all’altra già uno o due secoli prima. Le ville “dell’Ambulatio” e “della Sosandra”, avevano occupato la pendice, dal basso verso l’alto, con cinque o più livelli di ambienti distribuiti a ridosso del pendio, collegati fra loro da rampe o scalinate dipinte. Una distribuzione che permetteva un pieno godimento del paesaggio, aperto verso il Vesuvio, Sorrento e Capri soprattutto negli ambienti posti più in alto, ricchi di marmi e pitture, utilizzati come ampie e scenografiche sale da pranzo. Più in basso, grandi cortili con altrettanto ricchi portici colonnati raggiungevano il mare, offrendo a chi vi arrivava con la barca una accoglienza che ricordava i palazzi ellenistici realizzati in oriente dagli eredi di Alessandro Magno. Non mancavano certo in questi complessi piccoli spazi termali, come le cosiddette “Stanze di Venere” o le “Piccole Terme”, realizzate per un numero ben più ristretto di frequentatori, ma dotate di tutti i confort e di una ricchissima decorazione, come ancora in parte si conserva. Va sottolineato tuttavia come, pur sviluppandosi su aree che superano i 10.000 metri2, questi complessi non rappresentano le lussuose ville marittime che l’élite senatoria, da Pompeo a Cesare, da Crasso Cicerone, preferì costruirsi su alture isolate vicine e di cui ci rimangono labilissime tracce. Anche il palazzo imperiale tanto amato da Claudio, Caligola e soprattutto da Nerone, ma anche da imperatori più tardi come Alessandro Severo, doveva svilupparsi altrove, probabilmente a cavallo di Punta Epitaffio e forse in parte riconoscibile tra i resti conservati sotto il livello attuale del mare. È proprio l’inserimento dei grandi complessi termali di cui si è parlato all’inizio a dimostrarci come queste ville, dopo poco più di un secolo di occupazione come lussuose residenze, si trasformarono in qualcosa di diverso, forse in veri e propri alberghi al servizio dei frequentatori dei bagni (fonte).

Foto di Gigicogo
  • Tomba di Agrippina. Tornando verso Bacoli, cerchiamo (non senza fatica a causa dell’inesistenza totale di segnaletica) la tomba della madre di Nerone. Proprio dietro all’arenile della Marina di Bacoli, sorgono infatti i resti di questo monumento di epoca imperiale, rigorosamente inaccessibile e indisponibile alla visita come molti altri nell’area. Agrippina fu uccisa nel 59 d.C. per ordine del figlio Nerone e Tacito narra di come essa, scampata fortunosamente all’affondamento dell’imbarcazione che la conduceva a Bauli, fu raggiunta ugualmente dai sicari che la uccisero e che solo dopo la morte di Nerone i suoi servi fedeli avrebbero innalzato un modesto sepolcro, un semplice tumulo, sulla via di Miseno non lontano dalla villa di Cesare. Ovviamente la fotografiamo dall’esterno, unica opzione disponibile.
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  • Parco Archeologico di Cuma. Il giorno dopo prendiamo l’auto per raggiungere questo meraviglioso sito, in quanto il percorso a piedi dall’albergo conterebbe circa 10 km a piedi e sinceramente, dopo averne percorsi quasi 9 il giorno prima, ci sembra un po’ esagerato.

L’area attualmente visitabile è costituita dall’acropoli, che racchiude l’Antro della Sibilla alle pendici della collina, poi salendo sulla rocca la Torre Bizantina con il Belvedere, la Terrazza Inferiore, tradizionalmente denominata Tempio di Apollo, e la Terrazza Superiore sulla sommità del Monte di Cuma, denominata Tempio di Giove.

L’area della città bassa allo stato attuale è interessata da lavori di valorizzazione ed è visitabile solo in via straordinaria in occasione di eventi o manifestazioni culturali. I monumenti della città bassa sono il Foro, le Terme del Foro, la Crypta Romana, l’Abitato, la Porta Mediana, la Necropoli Monumentale.

L’Antro della Sibilla è forse il monumento più famoso del Parco Archeologico di Cuma. Le ricerche archeologiche interpretano il monumento come galleria militare scavata nel tufo a protezione del costone sud-occidentale dell’acropoli in età sannitica, tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. Inizialmente di forma trapezoidale, in seguito, in età romana, assume la forma attuale con un abbassamento del piano di calpestio. La galleria ha dei bracci trasversali nei quali sono ricavate alcune cisterne, che raccoglievano le acque piovane attraverso un sistema di canalizzazione. In età paleocristiana la cosiddetta camera terminale fu riutilizzata come luogo di culto e le cisterne come luogo di sepoltura.

La definizione di Antro della Sibilla si deve ad Amedeo Maiuri che nel 1932 scavò il monumento in nome della affannosa ricerca dei luoghi descritti da Virgilio che si protraeva da molti secoli. La galleria offre la corrispondenza di alcuni elementi con i versi che alludono a un luogo misterioso e oscuro con “cento porte” dalle quali il vento faceva turbinare le foglie su cui la Sibilla scriveva i responsi. E’ dotata infatti di numerose aperture laterali da cui entra la luce, che l’archeologo volle associare alle “cento bocche”. Inoltre, la camera terminale presenta tre piccoli vani che ben si prestano all’interpretazione di stanze oracolari.

Benché non possa corrispondere al celebre Antro, il monumento ha goduto di una fama incontrastata, che lo ha reso noto in tutto il mondo e che attrae visitatori da ogni parte, per la meravigliosa suggestione che crea la forma peculiare della galleria insieme ai giochi di luce delle aperture laterali.

L’esperienza dell’intera area è davvero mistica. Si percepisce la grandezza anche spirituale di chi ideò questo insediamento e si respirano le stesse sensazioni che spesso accompagnano la visita di acropoli greche in patria ellenica. Anche la vista sulle isole e sul golfo di Gaeta danno una sensazione di opulenza e grandezza che solo i conquistatori sapevano immaginare. Il porto sottostante l’acropoli non c’è più, ma immaginarlo non è per niente difficile.

La presenza di genti elleniche nel Golfo di Napoli è molto antica. A Vivara, sull’isola di Procida, è infatti documentato uno stanziamento miceneo la cui vita va dall’antico/medio Bronzo a tutto il medio Bronzo, cioè tra il XVII e il XII sec. a.C. Nel secondo quarto dell’VIII sec. a.C. la Campania è coinvolta nel grande fenomeno coloniale che porterà alla definizione della Magna Grecia. Verso il 770 a.C. Greci provenienti dall’isola di Eubea si stabiliscono infatti nel Golfo. Essi si fermano probabilmente prima a Pithekoussai (l’isola d’Ischia), per passare poi abbastanza rapidamente, e definitivamente, sulla terraferma dove fondano la prima colonia greca d’occidente: Cuma.

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  • Tempio di Apollo. Scesi dall’acropoli cerchiamo questo sito che, tanto per cambiare, è chiuso ai visitatori e dunque fotografabile solo dall’esterno. Si tratta comunque di un monumento molto significativo in quanto costituisce uno degli esempi più antichi di anfiteatro in Campania, al pari di quello di Pompei. Venne edificato alla fine del II sec. a.C. nel momento in cui l’aspetto della città greco-sannitica di Cuma lascia il posto all’impianto urbano tipicamente romano con la costruzione di edifici caratterizzanti, quali certamente l’anfiteatro. Sorto appena fuori le mura meridionali della città, nel luogo più utile per il controllo dei flussi di spettatori in ingresso e in uscita, l’Anfiteatro cumano rispecchia la tipologia più antica del monumento, priva di sotterranei e addossato per circa una metà al pendio del Monte Grillo in posizione panoramica verso il mare. Il monumento è stato indagato solo parzialmente: ne sono stati messi in luce l’ingresso meridionale, parte dell’arena e delle gradinate della cavea e il muro perimetrale a due ordini di arcate.
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  • Tempio di Apollo. Lungo le sponde del Lago d’Averno (dove ci fermiamo per una strepitosa pausa pranzo a base di pesce), sorge quello che per Virgilio era il ‘passaggio per gli inferi’, una specie di casello obbligatorio che consentiva l’accesso all’Ade. Il Tempio di Apollo è una testimonianza antichissima del nostro passato e talmente antica che della sua storia si sa davvero poco.

Il nome dell’edificio è dovuto alla tradizione umanistica: in quelle imponenti rovine venivano visti i resti del tempio dedicato al nume tutelare della Sibilla Cumana, che era proprio sacerdotessa di Apollo. È stato appurato, però, che quello che vediamo oggi è tutto ciò che rimane di un grande edificio termale risalente al I sec. d.C., costruito per sfruttare una serie di sorgenti idrotermali lungo il lato Est dell’Averno; la struttura sarebbe stata, poi, ampliata con la grande aula ottagonale (quella che è ancora visibile) il secolo successivo.

E non parliamo di qualcosa di ordinario: l’aula, infatti, pare fosse inizialmente coperta da una cupola in opera cementizia per dimensioni inferiore solo a quella del Pantheon di Roma! La sala, in opera laterizia, era anticamente decorata di pitture e stucchi, purtroppo in larga parte andati perduti. Attraverso scavi e studi si sono fatte numerose ipotesi sulla parte dell’edificio che non è riuscita ad arrivare sino a noi (d’altronde, alle sue spalle c’è proprio Monte Nuovo, il vulcano più giovane d’Europa formatosi in pochi giorni con l’eruzione dei Campi Flegrei del 1538) e sono stati individuati i resti della prima struttura realizzata in loco (I sec. a.C.) in opera reticolata, utilizzata per la captazione dei vapori termali, e altre strutture verso Nord sempre di stampo termale (fonte).

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  • Anfiteatro Flavio. Giunti a Pozzuoli ecco che ci appare in tutta la sua grandezza e maestosità uno dei più significativi resti antichi di tutta l’area flegrea. Si tratta di un eccezionale esempio di architettura romana, il terzo più importante per dimensioni mai realizzato dai romani e superato solo dal Colosseo e dall’anfiteatro dell’antica Capua. Costruito nel I secolo d.C., è uno splendido esempio dei prodigiosi sviluppi raggiunti dall’ingegneria nell’antica Roma. Veniva utilizzato principalmente per i combattimenti tra gladiatori e poteva ospitare fino a 40.000 spettatori. Purtroppo all’ingresso ci informano che si possono visitare solo le parti sotterranee, mentre la superficie interna viene inibita per lavori in corso su una passerella di accesso. Nulla di nuovo sotto il sore, direi. Mancanza di programmazione, di informazione e gestione approssimativa. Dunque entriamo nei sotterranei e poi portiamo a casa un po’ di bile.
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Ma non solo di archeologia e storia sono pregni i Campi Flegrei. Altri siti interessanti sono quelli naturalistici e quelli urbani che in una zona relativamente piccola son distribuiti anche disordinatamente ma non per questo meno attraenti.

I laghi che abbiamo visitato son tutti occasione per passeggiate rilassanti e, alla sera, grazie a diversi locali trendy, diventano luoghi ideali per una gioventù gioiosa che si riversa sulle loro sponde. Quello di Miseno, più vicino alla nostra residenza, e molto prossimo alle spiagge che si affacciano su Procida e Ischia, è indubbiamente quello più vivace.

Molto bello e molto più selvaggio, quello d’Averno, dove la passeggiata fra i vigneti e sotto il cratere del Monte Nuovo diventa un piccolo viaggio mistico in direzione del Tempio di Apollo che si riflette sulle sue acque.

Il lago di Fusaro ospita invece la singolare Casina Vanvitelliana che rappresenta uno splendido gioiello di architettura tardo barocca. Fu costruita nel 1782 dall’architetto Carlo Vanvitelli, figlio del celebre Luigi (l’autore della Reggia di Caserta) su commissione di Ferdinando IV di Borbone. La residenza occupa una piccola emersione di terra all’interno del lago Fusaro e fu adoperata come luogo di riposo dopo le battute di caccia e di pesca del Re.

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Nel nostro girovagare per i Campi Flegrei meritano senz’altro una menzione anche l’incredibile Solfatara di Pozzuoli famosa per il fenomeno delle fumarole dovute all’incessante attività vulcanica del sottosuolo. Esse son determinate dalla condensazione del vapore acqueo che emerge grazie alle attività naturali di questo sottosuolo che, val sempre la pena di ricordarlo, è una zona di vulcani tutt’oggi attivi.

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Sempre a Pozzuoli abbiamo voluto visitare il Rione Terra (antico cuore di Pozzuoli e primo insediamento urbano della zona). Esso fu evacuato negli anni ‘70, a causa degli effetti del bradisismo. Ora è oggetto di un importante restauro che potrebbe trasformarlo presto in un albergo diffuso. Il recupero dello storico quartiere rientra nel più ampio programma di riqualificazione e sviluppo dell’area flegrea, nato dalla collaborazione tra il Comune di Pozzuoli e la Regione Campania.

Foto di Gigicogo

E infine, l’ultima sera, in attesa che si liberasse la roof-spa nel nostro hotel, ci siamo avventurati per il bellissimo sentiero che costeggia il Capo Miseno e arriva fino al faro omonimo, aprendo scenari e scorci incredibili su Capri, Ischia e Procida.

Un sentiero tutto sommato facile, con poche pendenze e dunque adatto per un trakking for dummies senza dispendio particolare di energie.

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Il giorno 5 Maggio partiamo alla volta della Tuscia salendo attraverso la Via Domiziana e sfociando sul Golfo di Gaeta all’altezza di Minturno per una sosta nel borgo medioevale di origine aurunche e romane. Esso conserva ancora intatti i resti dell’antica città di Minturnae che, diventata colonia romana nel 296 a.C., visse il suo massimo splendore nel II sec. a.C.. Molti sono i monumenti e i siti storici che testimoniano l’antica presenza di templi, portici, terme, il foro, il macellum, il teatro e l’anfiteatro, nonchè una bella terrazza che si affaccia sul golfo di Gaeta e sull’omonima città, nostra destinazione per il pranzo odierno.

Foto di Gigicogo

A Gaeta, dopo un pranzo presso l’ormai fidelizzata Cooperativa ‘Comeilmare’, scendiamo per una passeggiata al porto e infine per una visita al Santuario della Montagna Spaccata e alla grotta del Turco.

Il nome deriva proprio da un’antichissima tradizione secondo la quale, alla morte di Cristo, la montagna si sarebbe spaccata in tre parti.

La grotta dei turchi, invece, è così chiamata in quanto nel nono secolo ai tempi del Ducato di Gaeta, le navi dei saraceni trovavano riparo proprio in questo promontorio.

La discesa alla grotta è possibile ma per motivi di sicurezza è limitata esclusivamente alla terrazza-belvedere, dove è possibile ammirare la grotta in tutta la sua bellezza.

Scendendo per gli scalini non si può non fermarsi ad ammirare la cosiddetta “Mano del Turco”, una fenditura nella parete a forma di una mano (si possono infatti distinguere le cinque dita nella roccia) che, secondo la leggenda, si formò nel momento in cui un marinaio turco miscredente, non credendo che la montagna si fosse spaccata alla morte di Gesù in croceappoggiò la sua mano alla roccia che miracolosamente divenne morbida sotto la sua pressione formando l’impronta della mano. La scritta latina sottostante riporta le seguenti parole : “Un incredulo si rifiutò di credere a ciò che la tradizione riferisce,lo prova questa roccia rammollitasi al tocco delle sue dita (fonte)”

Foto di Gigicogo

Da qui, sarà tutta una tirata lungo la pontina e poi il GRA, verso Viterbo e la Tuscia, ultima tappa del nostro viaggio primaverile. Stay tuned!

[Link alla quarta parte]

Abbiamo soggiornato:

Alcuni posti dove abbiamo mangiato:

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